Le fiabe, come i romanzi, i racconti, i poemi, i miti non raccontano una realtà oggettiva. Non ci sarebbe bisogno di dirlo, ma diciamolo. Possono magari prendere spunto da un fatto, per poi staccarsene rapidamente e venire strutturate dalla creatività narrativa e letteraria, da un sentire, che va oltre il contingente per approdare nella dimensione della metafora, del simbolo.

Personaggi, fatti e situazioni, quando possiedono quel peculiare spessore umano e poetico insieme, che li fa diventare simboli, non sono più semplicemente quello che sono, ma si amplificano, diventano portatori di importanti significati e suscettibili di molteplici letture. Iniziano così a raccontare di una realtà non esteriore, ma animica e comune a tutta una cultura o a tutta l’umanità. Incarnano un archetipo, per dirla con una parola di Jung, il quale ha speso gran parte della sua opera nel sottolineare la rilevanza vitale del contatto col simbolo; l’archetipo come idea originaria che può essere declinata in infiniti modi possibili.

Le fiabe raccontano dunque di situazioni interiori comuni ad un sentire collettivo e con la loro potenza poetica, bypassando la consapevolezza cosciente, ci mettono in contatto emotivo diretto con quelle situazioni,  ce le fanno vivere, rivivere e generalmente ci fanno percepire il sollievo della soluzione. A chi non è capitato di vedere/ascoltare una fiaba fino allo sfinimento da bambini? E da adulti di vedere più e più volte lo stesso film o rileggere lo stesso libro?

Il racconto, oltre alla sua godibilità, offre sempre anche occasioni di riflessione, nuove visioni e consapevolezze. Nella fattispecie, considerando la fiaba di Biancaneve, è possibile vedere una bambina orfana di madre benevola e vittima di una madre matrigna, gelosa, anaffettiva e narcisista, che pensa financo di ucciderla quando diventa adolescente, dunque donna rivale. La ragazza viene salvata da una forza maschile di sé, ma non ancora autonoma (il guardiacaccia che è alle dipendenze della regina) ed è costretta a lasciare la casa natale, scendere nel buio di se stessa, per scoprirvi altri aspetti maschili, piccoli, ma collegati alle emozioni e a stati dell’essere, salvifici e preziosi: con il loro lavoro sono in grado di estrarre dalle profondità dell’inconscio elementi di grande valore. Questa situazione tuttavia non la rende ancora sufficientemente difesa dalle paure e dall’aggressività della matrigna, che riesce a raggiungerla e, apparentemente, ucciderla. Questo “morire a se stessa” le permette l’incontro con la sua parte maschile di potere, che la rende in grado di neutralizzare gli attacchi violenti e prevaricatori della matrigna e del prossimo.

Mi rendo conto che potrei scrivere per ore in merito, tanto ci sarebbe da dire ed approfondire, ma, in sintesi Biancaneve racconta simbolicamente la storia del progressivo incontro di una ragazza con il proprio maschile interiore, il proprio potere personale, che la rende regina, vale a dire padrona della sua vita. E’ dunque tutt’altro che la storia di una sprovveduta incapace di pensare a sè, Biancaneve compie quel viaggio dentro di sè, che non tutti hanno il coraggio di fare, che la conduce infine alla sua intergrità.

Naturalmente, sottolineo, questa è solo una mia lettura fra le molte possibili, tante interessantissime ne sono state fatte e tante ancora se ne faranno, tuttavia fatico a comprendere la volontà di screditare e cancellare una favola, come pare essere così di tendenza adesso, sulla base di…? Non mi è così chiaro.

Lecita è la reinterpretazione di un testo, prendere spunto da un testo, rivisitare un testo, ma non la distruzione di un testo! Quella è un’altra faccenda e piuttosto triste. E’ un po’ come farsi matrigne che vogliono uccidere Biancaneve.

© Federica Vignoli 2023 – Grazie per citare la fonte in caso di utilizzo
Le foto di questo articolo sono tratte da Fiabe Sonore: pubblicazione periodica settimanale. Milano : RCS libri, stampa 2000