Fare il giro dei sepolcri in queste giornate dedicate ai defunti è un po’ come una sorta di meditazione, soprattutto se lo si fa da soli e non perché si deve.

È un riconnettersi col passato, anche molto antico, che pur sembra spesso danzare ancora qui, un ripercorre eventi, vicende, riflettere ancora una volta sulle proprie radici, da dove si viene, quale aria si è respirato, gioie, conflitti, dolori, che cosa si è imparato.

È come camminare dentro il proprio albero genealogico, ripercorrerne i vicoli, trovarsi di fronte alle persone della nostra vita su quel confine che il sepolcro rappresenta fra il qui e l’altrove. E ogni anno scoprire che la relazione comunque c’è e comunque può evolvere, anche se io qua e tu là. Una sorta di costellazione familiare calata nel quotidiano.

Scoprire che ti ho compreso un po’ di più, che ti ho capito un po’ di più e che magari quel nostro conflitto si è sciolto, perché, si sa, non basta la morte a portarselo via. Oppure sentire che ti ho ritrovato in me e pesa molto meno la tua assenza o, al contrario, che il tuo vuoto è ancora troppo grande… Oppure tanto altro.

Sì, certo, si può farlo anche altrove, in altro modo, ma questo rituale può renderlo molto più tangibile e significativo. Come ogni rituale sostiene e conferma il lavoro interiore dell’anno trascorso e nella pace melanconica del Camposanto ritrovo la mia storia, ritrovo me.