Educazione… E’ noto che il termine (dal latino “educere”) porta con sé il significato di “tirar fuori”. L’arte quindi di tirare fuori e far crescere il meglio che c’è nell’altro, l’arte della levatrice, la maieutica, come la chiamava Socrate, capace di stimolare nell’allievo il “parto” di riflessioni del tutto personali.

Spesso però nei secoli al concetto è stato dato significato del tutto contrario: educare come mettere dentro qualcosa di preconfezionato e finanche persuadere della validità assoluta di idee preconcette; in questo caso sarebbe stato forse più corretto usare il termine inducere (=portare dentro).

Educere… Inducere… Nella prima dimensione vi è l’idea sottostante che ogni essere umano nasca con un suo particolare bagaglio di conoscenza e di talenti, che devono solo essere portati alla luce. Nella seconda dimensione l’idea è che ci siano cose che non si conoscono e che quindi vanno apprese dall’esperto in materia.

Nessuna delle due dimensioni è più valida dell’altra, entrambe vere ed entrambe importanti. L’una efficace a nello scoprire la propria unicità, l’altra a rendere tecnicamente abili. Così l’insegnante di musica dovrà indurre la conoscenza di note, scale, ritmiche etc., ma anche edurre (nonché dedurre) le particolarità del modo di esprimersi, in un’armonica danza fra maestro e allievo.

Tuttavia si assiste a notevoli interferenze fra le due parti e ad un prevalere nella storia dell’inducere sull’educere, di cui la stessa condanna a morte di Socrate può essere letta come emblema.

I sistemi educativi (familiari, scolastici, religiosi etc.) hanno finito per assumere spesso le forme distorte dell’indottrinamento e della repressione, di fatto allontanando gli individui dal valore della propria essenza interiore. Ci viene ben raccontato da Peter Weir nel suo famoso film “L’attimo fuggente” o dai Pink Floyd in “Another brik in the wall”

Tutto questo ha certamente portato il diffondersi di un elevato sapere tecnico e specialistico, ma d’altro canto un ipertrofismo della mente e una sterilizzazione del sapere, dal quale anima e corpo sono esclusi.

Ma l’educare non è mai stato dimenticato: da Rousseau a Pestalozzi a Maria Montessori, diversi pedagogisti mettono in dubbio l’efficacia di certi metodi e ne propongono dei nuovi. Le rivoluzioni studentesche del ’68 poi scardinano nelle fondamenta la supremazia dell’indurre: l’allievo reclama attenzione, vuole e cerca risposte diverse. Tale ribaltamento ha avuto il merito di portare quella confusione necessaria alla ricerca di un nuovo equilibrio, ma non ha di per sé portato equilibrio. E credo di poter dire che sia insegnanti sia allievi, di qualunque tipo, sono ancora alla ricerca di esso.

Certo gli studi sulla psicologia infantile e dell’adolescenza sono proliferati, l’attenzione ai bisogni del bambino e dell’adolescente è salita esponenzialmente, anche tanto esageratamente da cedere a loro tutto il potere e vedere insegnanti non capaci di governare una classe. Le vecchie idee continuano a voler sovrapporsi alle nuove, le nuove spesso disorientano…Molti tasselli devono trovare il loro posto.

Personalmente e idealmente ritengo che un popolo capace di educare efficacemente i propri figli sia un popolo vincente. Solo saggezza e conoscenza portano pace, sicurezza e buona amministrazione. Ecco perché alla figura dell’insegnante e alle sue responsabilità non delegabili, attribuisco un elevato valore.

E credo possa fare la differenza l’insegnante disposto a ritrovare nel proprio mondo interiore l’allievo che è stato, con tutto il suo bisogno di imparare quel che c’è fuori e quel che c’è dentro; formule, verbi e poesie, ma anche pezzi di sè, abilità e talenti. Sapere di possedere sia la capacità di riempire, ma anche quella di tirare fuori, di far nascere.

Ai Maestri che mi hanno riconosciuto e fatto venire alla luce e a Socrate, che, molto lontano dall’essere morto, vedo risplendere in loro.

Federica Vignoli

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